3

Febbraio

- 2021 -

REGISTRAZIONE DI CONVERSAZIONI TRA COLLEGHI A LORO INSAPUTA

E’ illegittimo e ritorsivo il licenziamento disciplinare comminato al lavoratore che, in un giudizio volto ad ottenere il riconoscimento del demansionamento e del mobbing, produce le registrazioni di conversazioni con i colleghi effettuate a loro insaputa. E’ quanto stabilito dal Tribunale di Nola, con ordinanza n. 33901/2020, che ha condannato il datore di lavoro alla reintegra della guardia particolare giurata.

Il Giudice ha ritenuto che la registrazione fonografica, essendo prova ammissibile nel processo civile del lavoro (come in quello penale), ex art. 2712 c.c., non costituisce condotta illegittima né inadempimento degli obblighi contrattuali.

L’ordinanza fa un distinguo di particolare rilievo: il licenziamento disciplinare (per violazione della normativa in materia di riservatezza dei dati personali e violazione del generale obbligo di correttezza e buona fede) è illegittimo. Ma se fosse stato un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (clima di tensione e sospetto nell’ambiente lavorativo in generale derivato dalla condotta del lavoratore) lo stesso forse sarebbe stato ritenuto legittimo.

Il Giudice scrive: “In base alle circostanze fattuali evidenziate, la registrazione effettuata dal ricorrente integra una condotta legittima, pertinente alla sua tesi difensiva [demansionamento e mobbing] e non eccedente le sue finalità […]: nel caso di specie, pertanto, è esclusa non solo la ricorrenza di un illecito penale, ma anche di quello disciplinare, rispondendo la condotta contestata alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto. Come tale, la condotta legittima posta in essere dal ricorrente, non presentando il carattere dell’antigiuridicità, non può in alcun modo aver leso il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro, fondato sulle capacità del dipendente di adempiere in modo puntuale l’obbligazione lavorativa.

Dalla legittimità della condotta contestata deriva anche che il clima di tensione e sospetto che la convenuta [datrice di lavoro] deduce essersi ingenerato nei confronti del ricorrente [lavoratore] e nell’ambiente di lavoro in generale, dopo la rivelazione delle registrazioni ad opera del […], ove dimostrato dal datore di lavoro, avrebbe potuto rilevare al più quale giustificato motivo oggettivo di licenziamento, non certo quale rilievo disciplinare”.

La sentenza di merito richiama la più risalente pronuncia della Corte di Cassazione civile, Sez. Lavoro, n. 11556/03 per cui: “Nel caso in cui il datore di lavoro abbia giustificato il licenziamento con un comportamento abituale del lavoratore, indicato al tempo stesso come mancanza disciplinare e come comportamento oggettivamente incompatibile con il regolare funzionamento dell’organizzazione aziendale, il giudice, ove non ravvisi nel suddetto comportamento una mancanza disciplinare o inadempimento contrattuale del lavoratore, deve valutarlo sotto il profilo del giustificato motivo oggettivo”). Ma non è il caso oggetto dell’ordinanza del Tribunale di Nola.

L’ORDINANZA

Le argomentazioni del Giudice che ha, come detto, dichiarato illegittimo e ritorsivo il licenziamento disciplinare, si basano innanzitutto sull’art. 2712 del Codice Civile il quale chiaramente dispone che “Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

L’ordinanza del Tribunale di Nola si basa principalmente su due precedenti giurisprudenziali: la sentenza n. 11322/2018, della Corte di Cassazione Civile, Sez. Lavoro, e la sentenza n. 3034/2011, della Corte di Cassazione Civile, Sezioni Unite.

La prima sentenza ha stabilito che è illegittimo il licenziamento del lavoratore che registra e riprende le conversazioni con i colleghi, a loro insaputa, se i dati non sono diffusi ma raccolti in vista di un eventuale procedimento giudiziario. Non sussiste violazione della privacy, come lamentato dalla società datrice di lavoro, essendo la raccolta dei dati utilizzata dal lavoratore al fine di precostituirsi degli elementi di difesa per salvaguardare la propria posizione in azienda.

L’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui, tra il dipendente e i colleghi, sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, in ragione dell’imprescindibile necessità di bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza, da una parte, e della tutela giurisdizionale del diritto, dall’altra, e pertanto di contemperare la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio. In conseguenza di ciò, è legittima, ed inidonea ad integrare un illecito disciplinare, la condotta del lavoratore che abbia effettuato tali registrazioni per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto.

Il trattamento dei dati personali, ammesso di norma in presenza del consenso dell’interessato (art. 23 D. Lgs. n. 196/2003), può essere eseguito anche in assenza di tale consenso, se volto a far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria o per svolgere le investigazioni difensive (art. 24, co. 1 lett. f), D. Lgs. n. 196/2003), ciò a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento.

La seconda sentenza ha stabilito che la disciplina generale, in tema di trattamento dei dati personali, subisce deroghe ed eccezioni quando si tratta di far valere in giudizio il diritto di difesa, le cui modalità di attuazione risultano disciplinate dal codice di rito, in quanto “alle disposizioni che regolano il processo deve essere attribuita natura speciale rispetto a quelle contenute nel codice della privacy e nei confronti di esse, quindi, nel caso di divergenza, devono prevalere. Ne consegue che se l’atto processuale che contiene il dato personale altrui risulta posto in essere nell’osservanza del codice di rito, non è configurabile alcuna lesione del diritto alla privacy”.

Posta la legittima utilizzazione dei dati personali altrui a fini di giustizia, qualora l’atto processuale che li contenga risulti essere stato posto in essere nell’osservanza delle disposizioni del codice di procedura civile non è configurabile alcuna lesione del diritto alla privacy, come lamentato dal datore di lavoro nella vertenza giudicata dal Tribunale di Nola.

L’ILLEGITTIMITA’ E LA RITORSIVITA’ DEL LICENZIAMENTO

Il Giudice ha dichiarato il licenziamento disciplinare illegittimo e ritorsivo perché:

  • la condotta imputata al ricorrente non costituisce inadempimento contrattuale (sebbene avrebbe potuto assumere rilevanza in termini di eventuale obiettiva incompatibilità del dipendente con l’ambiente di lavoro, ove la condotta fosse stata tale da rendere insostenibile la situazione lavorativa, incidendo negativamente sull’organizzazione del lavoro e sul regolare funzionamento dell’attività),
  • perché la contestazione disciplinare è stata comunicata al lavoratore solo dieci giorni dopo che il datore di lavoro è venuto a conoscenza della registrazione (per cui appare inverosimile che in un così breve lasso di tempo si siano verificate sul generale ambiente lavorativo gli effetti negativi generalizzati contestati al dipendente nel procedimento disciplinare).